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La Cisl: "Riforma della Regione necessaria per rispondere ai nuovi bisogni della Sardegna"
Nei giorni dell’emergenza COVID-19 riscopriamo il valore del servizio pubblico, il bene prezioso dei servizi pubblici e magari occorre ripensare i tagli e una visione di servizi pubblici analizzati solo con la lente dei costi e non invece come valore da preservare. In questo quadro di riflessione entra a buon titolo la riforma della Regione; un tema aperto e irrisolto che in questo inizio legislatura potrebbe vedere iniziative strutturali e non a spot, che le varie urgenze anche recenti richiedono.
Se funziona la Regione e le sue articolazioni, funziona la Sardegna, diventa veloce e dinamica e può rispondere al meglio ai vecchi e nuovi bisogni, che impongono istituzioni e organizzazioni pubbliche rinnovate e moderne. Negli ultimi anni affrontando il tema delle riforme emerge con chiarezza e cruda verità che la Regione, anche intesa come tecnostruttura, con tutte le sue articolazioni, è non solo da riformare profondamente ma anche da aprire maggiormente verso i cittadini, i territori e le imprese. Una Regione datata e chiusa nelle sue liturgie e procedure, con una lentezza burocratica che impone un nuovo modello istituzionale, organizzativo e del lavoro pubblico mortifica chi ci lavora e gli utenti. Ma resta non sciolto il nodo, da definire con maggiore chiarezza il ruolo politico/dirigente, il ruolo delle professioni al servizio dell’utenza, il rapporto centro/periferia.
Quest’ultimo è un punto nevralgico del modello che si deve rafforzare, proprio perché lo Stato e i suoi servizi arretrano e la Sardegna, con i suoi servizi e strutture, non può fare altrettanto, confermando uno schema centralistico che non può essere giustificato dalla spending review o dalle soluzioni digitali. La risorsa umana deve essere valore e motore della Regione che serve anche per reggere i tempi e per i ritmi europei. La spendita delle risorse deve essere velocizzata così come le procedure verso imprese e cittadini devono essere più agevoli.
L’Istituzione deve anche rivedere i suoi rapporti con lo Stato e l’Unione Europea; è positivo che il tema dell’insularità sia oggetto di mobilitazioni e proposte ma non basta. La fase Costituente messa da parte nelle due scorse legislature rappresenta una cornice necessaria da riprendere in mano, ma non con uno schema chiuso nel palazzo ma come partecipazione di popolo e delle forze sociali alla revisione del nostro Statuto. Sono queste le politiche regionali che vedono la Sardegna misurarsi con le altre regioni europee e con quelle mediterranee, vere e proprie praterie da percorrere velocemente e con dinamismo strategico in competizione con le altre regioni. La partecipazione del popolo e delle forze sociali al cambiamento e alle riforme è dunque un assioma fortunatamente passato nelle arterie del dibattito di tutta la società sarda, anche grazie a molteplici iniziative promosse o sostenute dalla Cisl sarda, che ha cercato di declinare il tema dell’autonomia, dell’autogoverno responsabile, dell’equilibrio territoriale, delle politiche sociali e di cittadinanza. Questo, non con una visione di galleggiamento autonomistico, o inspirato da radicalismi impercorribili, ma una vera e propria rivoluzione partecipativa e moderna, con una forte etica della responsabilità e un modello sussidiario, che non lasci i territori deboli ai margini (la forza demografica, economica, e politica potrebbe vedere in prospettiva diverse zone dell’Isola arretrare ancora).
Il modello organizzativo degli assessorati è datato; risale al 1977 e purtroppo l’urgenza di modificarlo è legata all’efficienza che non é coerente con altre P.A. e altre Regioni, che anni rimodulato competenze e deleghe secondo i nuovi bisogni. Ad esempio, un cittadino o un impresa, per una sola pratica regionale spesso deve fare il giro di diversi assessorati, che gestiscono ancora funzioni mischiate tra loro, da riordinare e unificare per argomenti e tematiche. Analogo discorso per quanto attiene alle agenzie regionali, che sono quasi tutte a vocazione centralistica e non invece a trazione territoriale e locale. Per dare nuovo vigore al sistema Regione serve anche una nuova stagione di concorsi pubblici, rimandati da tempo e ora quantomai necessari dopo gli effetti di quota cento e di un’età media molto alta. La Regione non si riforma forse anche per mancanza di coraggio o perché alla politica conviene che tutto rimanga così com’è. Un nodo irrisolto che può costare caro ai sardi, che hanno bisogno di una Istituzione e Organizzazione moderna e innovata.