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Mondiali di atletica, Sardegna da urlo!
Sprint Sardegna, a Budapest a testa alta
Ai mondiali di atletica flash di pregio per Filippo Tortu, Lorenzo Patta e Dalia Kaddari. Sardità e carattere in un successo sportivo che incoraggia e vale un pezzo di storia
Mario Frongia
Sommersi dagli abbracci, da fotografi e cameraman, da quella sensazione irripetibile che accompagna il successo. Filippo, Lorenzo e Dalia, volti di una Sardegna che vola. Con coraggio e determinazione. In cima al mondo o appena poco più sotto. Con la certezza che nulla ti è stato regalato. E mai lo sarà. Nessuna corsia preferenziale ma solo lavoro e duro lavoro. Tra rinunce e sofferenza. Da Budapest, volti freschi, sinceri, forti. Energie giovani, personalità e cazzima sarda assieme. Da Tempio passando per Oristano fino a Quartu. Origini e tradizioni diverse. Magari distanti, storicamente anche lontane, allenamenti e sofferenza come cornice comune. Di fatto, un’ottima clip di una regione che accoglie, soffre e combatte criticità di vecchia e nuova data. Tortu di Tempio, Patta di Oristano, Kaddari di Quartu: un triangolo che accomuna e include. Certo, con percorsi professionali differenti. Ambizioni e rincorse che partono da lontano. Ma da sempre serie, pulite, trasparenti. La Sardegna c’è e deve difenderli. Sono ragazzi 2.0 o poco meno, nativi digitali, pronti a dare tutto. Lontani quanto basta dall’idea di dovere mollare. Picchiano duro, se serve anche a mani nude. Nello sport e nella quotidianità, la miscela è quella. Dopo l’oro olimpico a Tokyo, Tortu e Patta sono volati in mondovisione. Kaddari li ha seguiti. Per un punto di straordinario non ritorno. Un trio che non ha confini, con una personalità e una visione che spazia sul domani. Il mondo che avanza annulla le diversità. Meglio, le esalta e le condivide. Le accomuna a tradizioni, usi, luoghi, abitudini maturate nel tempo. Per poi trarne insegnamenti utili a non lasciare nessuno e nessuna dietro. Le ultime e gli ultimi, anche nelle esaltanti vittorie ungheresi, non vanno mai scordati. Filippo, Lorenzo e Dalia lo sanno. E lo sanno anche i loro allenatori, le loro famiglie, gli amici e le amiche, lo staff della nazionale. L’abbraccio è collettivo. Il trio dei Quattro mori conosce l’applicazione e la perseveranza. Sa come trovare risposte anche nei momenti peggiori. Risposte che permettono di stare, comunque vada, a schiena alta. Nell’atletica, attività massacrante e totalizzante, e nella vita di tutti i giorni. L’argento azzurro della staffetta 4x100 con Rigani, Jacobs, Tortu e Patta e la finale sfiorata dal quartetto tricolore della Kaddari, con Dosso, Bongiorni e Pavese, sono un ottimo ricostituente. E fanno risalire il polso di Paese a volte bislacco ma fiero e vitale. I Mondiali non sono e non saranno mai una passeggiata di salute. E ritrovare, o almeno provarci, in questi successi - con dietro, per dire, nazioni con storie e record ben consolidate in pista - può essere utile. Non solo per motivare atlete e atleti che sudano, sprintano e corrono in periferia. Ma anche per dare stimoli, speranze e buon senso anche a quanti si cimentano in altri settori della vita pubblica e privata. Un assist, forse poco oggettivo. Ma comunque integrabile in un auspicabile percorso democratico fecondo e motivante. La medaglia d’oro della 4x100 maschile l’anno portata a casa gli Stati Uniti con Coleman, Kerley, Carne e Lyles in 37”38. L’Italia ha chiuso in 37”62. Sul gradino più basso del podio i giamaicani in 37”62. A seguire, Gran Gretagna e Giappone. E non è un dettaglio. Le azzurre della splendida Dalia sono arrivate in 42”49 alle spalle delle americane (41”03), della Giamaica (41”21) e delle britanniche (41”97). Per l’Italia si tratta del miglior piazzamento mai firmato ai Mondiali. Sì, la Sardegna in Ungheria c’era. E ci sarà anche ai Giochi olimpici di Parigi 2024. Magari, dita incrociate, anche più forte.